giovedì 24 novembre 2011

L'ANIMALE NOTTURNO



E' già abbastanza vanesio e corteggiato, quindi non mettetelo al corrente dell'esistenza di questo articolo ma oggi, nel mondo della fotografia, non si può non parlare di lui e del suo lavoro.


























La maggior parte dei fotografi che sono passati alla storia, quelli che compaioni tra i contributors della Magnum (Alex Maioli), quelli che oggi scattano le nuove collezioni di alta moda per Vogue a New York e quelli che possono contare esposizioni nei principali musei d'arte contemporanea al mondo (Mario Testino), insomma in moltissimi hanno iniziato fotografando la vita notturna nella propria città. I nightclub affollati e fumosi, le prostitute, le ballerine ubriache e scatenate, l'alcohol e quegli strani ceffi che si incontrano solo a notte inoltrata sono nel portfolio di autori memorabili. 



























In un' epoca in cui si ha la sensazione che ogni immagine sia già stata scattata o già vista, è difficile produrre qualcosa di nuovo e originale. Eppure la mia modesta ossessione per la fotografia che mi costringe ogni giorno a spulciare migliaia di fotografie, a scovare le nuove leve, a visionare centinaia di reportage, questa ricerca sfrenata e coerente, mi ha portato a scoprire un nuovo genio. E badate bene, giuro che scriverei queste parole su di lui anche se non lo conosessi di persona e non vi fossi molto affezionata.



Sono i reportage notturni di Matteo Cavalieri, in arte EmmeciQuadro, a meritare questa pomposa introduzione. Qualche sera fa stavo parlando con uno degli organizzatori delle feste notturne più frequentate a Roma (Amigdala) a proposito di quanto fosse difficile selezionare il photo reporter per un party. "Oltre ad essere un bravo fotografo dal punto di vista tecnico, deve conoscere la notte, avere l'esperienza dei 'tempi' della festa, sapere come approcciare ogni tipo di soggetto e  rubare uno scatto in un contesto così caotico e chiassoso, riuscendo allo stesso tempo a carpire l'anima della festa".



























Ne dedussi che una persona timida e inibita o qualcuno che non avesse calcato le piste da ballo e i banconi del bar per una vita non sarebbe stato adatto a questo ruolo. Nelle fotografie di EmmeciQuadro ritroviamo tutto questo, avvertendo la sensazione di toccare il cuore della festa, sia i picchi di divertimento sia lo stordimento delle droghe e i momenti più disinibiti. 


Ma oltre ad essere un animale che si muove con destrezza nel suo habitat, Matteo Cavalieri ha anche saputo applicare una tecnica piuttosto innovativa che si sposa perfettamente con l'ambiente che vuole rappresentare.  Usando tempi lunghi, un flash e sfruttando l'illuminazione diversificata dei locali, Emmeci disegna scie luminose come pennellate dai colori vivissimi, crea macchie di luce che si sovrappongono ai volti e ai corpi, rappresenta scenari a metà tra la fantasia e la realtà.















martedì 8 novembre 2011

David Lachapelle: "Penso di essere un Work-in-Progress"

Photo - David Lachapelle
Esplorando le pile di riviste che della mia coinquilina che occupano il mio bagno di NY, ho riesumato un vecchio numero di MUSE - The Fashionart Magazine. Non potevo crederci, questa rivista è interamente bilingue, italiano e inglese, l'editor in chief nel 2007 era Fabio Corvi e viene stampata in Italia.

A pagina 88 del numero Autunno 2007, un'intervista a David Lachapelle mi ha fatto scoprire qualcosa del celeberrimo fotografo che non sapevo. Riporto qui qualche passaggio e ritaglio:

Photo - David Lachapelle
Giornalista - Quando hai iniziato lavoravi con il bianco e nero, poi il colore è diventato una delle essenze del tuo lavoro: quando è avvenuto un cambiamento tale?

Il momento in cui passai al colore fu quando mi resi conto di non avere l'HIV. Fu come togliersi un peso di dosso perchè quando avevo diciannove anni avevo visto il mio primo compagno morire di AIDS; lui ne aveva ventiquattro, per anni pensai che sarei morto nello stesso modo. Tutto era in bianco e nero all'epoca, non riuscivo a pensare a colori...ogni cosa allora mi sembrava molto seria. Le mie prime immagini di quel periodo soo in bianco e nero, sono cupe e scure; per sei anni sono andato avanti così, a stampare in camere oscure a New York. Pensavo che il mio tempo nel mondo fosse limitato. Lavoravo sodo ma con questo peso sulle spalle e ogni volta che mi sentivo male, ogni volta che tossivo o che mi trovavo un livido pensavo 'Ecco, ci siamo'. Fu quando scoprii di essere negativo al test che cominciai a lavorare con il colore, a traboccare di colore. Se ci ripenso, lo vedo con chiarezza. Allora non mi resi conto di cosa stava succedendo, che quello era il mio modo di reagire ma se guardo indietro nel tempo vedo bene che cominciai a usare il colore nello stesso periodo in cui mi resi conto che sarei vissuto.[...]
Photo - David Lachapelle


"Credo che lo scopo delle mie foto fosse di offrire una via di uscita dalla pesantezza dell'epoca in cui vivevo (Lachapelle è nato nel 1963) e del mondo in generale. Volevo fare delle foto che fossero fantastiche, che portassero chi le guardava in un altro mondo, più vivido. Cominciai con quest'idea".[...]

"Da sempre amo l'opera di Michelangelo e ne ho tratto ispirazione fin dall'inizio della mia attività. So che può sembrare strano perchè io sono quello che faceva le foto a Pamela Anderson e a Paris Hilton. Ma io mi limitavo a registrare il mondo in cui vivevo, e la gran parte di quelle foto per me era lavoro, facevo quello che potevo. A questo punto ormai, ho detto tutto quello che volevo dire in termini di cultura popolare sulle riviste e voglio produrre opere solo per le gallerie, tornando da dove ero partito, nel 1984, con la 303 Gallery.

Photo - David Lachapelle


Photo - David Lachapelle


























Fin da bambino ho sempre desiderato essere un artista, a ogni costo, non volevo diventare una specie di uomo d'affari. E questo mi ha fatto sentire autorizzato a non finire la scuola, a non seguire le lezioni di matematica, perchè fin da giovanissimo sapevo che sarei diventato un artista. Volevo lavorare solo per le gallerie e ora ricomicio da capo, dalle gallerie. Ora è l'unica cosa che io possa fare. Non sono più innamorato delle idee che avevo cinque o dieci anni fa. 
Dal 1995 al 2005 ho tentato di fotografare quante più persone potessi, volevo registrare tutto. Avevo iniziato con l'intenzione di fare a ciascuno una foto che fosse 'la' foto in grado di rappresentare la propria vita. Più tardi, al passaggio del millennio, ho tentato di fotografare il decennio e le ossessioni di quella cultura e del nostro tempo. Anche se si trattava di fantasie esagerata, quello era ciò che succedeva nel mondo".




David Lachapelle: sito1, sito2

David Lachapelle

Photo - David Lachapelle
 

















martedì 1 novembre 2011

SURF LAND































 Al quarto piano di un palazzetto senza ascensore, nel cuore di Manhattan, tra un ristorantino thailandese e un Cafè dove una tazza di thè costa 6 dollari, è timidamente situato il Centre of Alternative Photography. Per la sera del 1 novembre il calendario prevedeva un evento gratuito: la lettura del portfolio della fotografa Joni Sternbach




Prima di dirvi che la cinquantina di persone presenti avevano tutte i capelli grigi o bianchi, gli occhiali e un'andatura incerta, devo chiarire che per 'alternative photography' i newyorchesi intendono la fotografia realizzata con la pellicola e stampata rigorosamente in camera oscura. L'avvento del digitale ha evidentemente relegato la fotografia analogica ad una ristrettissima cerchia di appassionati e attempati. Ma questo è davvero un peccato. Perchè il fascino e la corposità delle immagini che ho visto non sono riproducibili da tutti i pixel del mondo messi insieme. 

Usando il grande formato Joni Sternbach, una donna paffuta sulla cinquantina, si dedica alla fotografia da una vita. Cosa l'ha portata a ritrarre surfisti andando su e giù per East coast, West coast e circumnavigando l'Australia? Lei sostiene che siano stati i servisti a venire da lei. Ha fotografato l'oceano e il paesaggio circostante per mesi e detestava i surfisti che spuntavano come piccole macchie nelle sue fotografie per insozzarle. Finchè un giorno, all'improvviso, è catturata dalla silhouette del ragazzo all'orizzonte che imbraccia la tavola, decide di scattargli una foto. 
Inizia così un percorso, durato 5 anni (dal 2006 al 2011), in cui l'artista ha scoperto quanto i surfisti siano parte integrante del paesaggio oceanico e quanto vivano con esso in un armoniosissimo connubio. Li ha definiti come creature a metà tra il preistorico e il moderno, tra l'essere naturale e quello razionale. 
La realizzazione del progetto l'ha portata, insieme alla sua giovane assistente che in alcune fotografie sostiene la tavola da surf nascosta dietro di essa, a infiltrarsi nella "società" dei surfisti, a conoscere le loro regole, i loro usi e costumi.









 


Data la fotocamera vecchio stile e il tipo di pellicola usata, i soggetti hanno dovuto stare immoboli per diverse decine di secondi, alcuni addirittura per minuti e spesso la brezza della riva complicava le cose. Guardare queste foto sullo schermo dà solo una lontana idea della potenza delle grandi stampe e della pastosità del bianco e nero già ingiallito.
Ero l'unica sotto i 50 nella sala, ma quest vecchietti erano felici come dei ragazzini con l'ultima Nikon in mano.
Link al sito di Joni Sternbach
Video - trailer del documentario "The women and the waves" in cui sono state usate le fotografie di J.Sternbach









SURF LAND

Photo by Joni Sternba
On the fourth floor of a building without elevator in the heart of Manhattan between a Thai restaurant and a Cafe where a cup of tea costs $ 6, the Centre of Alternative Photography is  located. For the evening of November 1 calendar included a free event: the reading of the portfolio of photographer Joni Sternbach.Before I tell you that the fifty people in the room had all the gray or white hair, glasses and unsteady gait, I must clarify that for 'alternative photography' New Yorkers want the photograph made with the film and printed strictly in the darkroom. The advent of digital photography has relegated the analogy to a small circle of enthusiasts and elderly. But this is really a shame. Because the fascination and the body of the pictures I saw are not reproducible by all the pixels of the world combined.Using large format Joni Sternbach, a plump woman of about fifty, she devoted herself to photography for a lifetime. What brought her to portray surfers going up and down the East coast, West coast and circumnavigating Australia? She argues that it was the surfers to come from her. She photographed the ocean and the surrounding countryside for months and hated surfers poking as small spots in her photographs to dirty them. Until one day, suddently, she saw the silhouette of a boy, on the horizon, that embraces the board and she decided to take a picture.
Thus began a journey that lasted 5 years (from 2006 to 2011), in which the artist has discovered how surfers are an integral part of the landscape and the ocean and how they exist in harmonious union with it.
She defined them as creatures halfway between prehistoric and modern, between being natural and rational.
Photo by Joni Sternbach 

The project realization has led the artist, together with his young assistant that in some photographs supports the surfboard hidden behind it, to infiltrate the "society" of surfers, learn their rules, their customs and traditions.
Using the old-fashioned camera and film type, the subjects had to stay immobile for several tens of seconds, even for a few minutes and often the breeze from the shore complicated matters. Looking at these pictures on the screen gives a distant idea of ​​the power of large prints and the mellowness of black and white already yellowed.
I was the only one under fifty years old in the room, but with the latest Nikon in hand,
these little old men were happy as little boys.
Video - trailer of the documentary "The women and the waves" in which J.Sternbach's
photo were used.

Photo by Joni Sternbach 

Camera used by Joni Sternbach